Le aziende stanno richiedendo un cambiamento del proprio asset comunicativo? Con quali modalità?
L’anno che ha sconvolto le quotidianità relazionali ha accentuato paradossi e fragilità del sistema di marca – indissolubile dalle simbiosi di comunicazione – che sta accelerando insieme a polarità tecnologiche di mercato attendibilità controverse sulla fonte informativa e le istituzioni. Nello specifico scientifico il fenomeno No Vax, la vicenda dei vaccini e di AstraZeneca sono indicativi di quanto sia ormai semplice, superficiale, diffondere un’opinione senza calcolarne gli effetti del contenuto nel pubblico, domani. Dopo … riparare conseguenze o storture causate dall’incauto uso della parola nell’incontrollabilità del web… aggrava incertezza e credibilità verso qualunque prodotto e notizia ad esso legata. Anche nella comunicazione più commerciale: la multicanalità digitale ha modificato asset progettuali e dinamiche di vendita non senza deficit di lungimiranza e visione strategica. Scegliere di vendere online sotto la pressione di una riduzione dei costi ad esempio, può aver tamponato l’emergenza di molte merceologie ; spingere ed abituare il pubblico a farlo anche domani porterà a cambiamenti, o sconvolgimenti , nella catena del valore del brand e della percezione del prodotto: come un certo disinvestimento dai punti vendita del retail fisico – alleato insostituibile in molti settori del Made In Italy per l’identità e la distribuzione – che tende a depauperare il tessuto socio-commerciale urbano ; o l’appiattimento dell’esperienza fisica d’acquisto – sensoriale, tattile – nell’emozione tascabile di un monitor… interattivo ma sempre piatto. Il marketing di un prodotto posizionato nei segmenti di vertice dovrebbe riflettere con lungimiranza … per evitare che nel tempo il brand finisca per alimentare solo notorietà (e profitto) dei major player online diventandone subalterno.
La sostenibilità etico sociale ed ambientale – che dovrebbe essere il benchmark quantomeno europeo, senza frammentazioni o compromessi di lobbies – per ora è più impattante nel comunicarsi con immagini ad effetto che a farsi nella sostanza. Per una piccola/media impresa investire in produzioni ed “etichetta” etica in un digital communication system ( dai media all’E-shop, al delivery just in time) che si regge, ancora, sulla competitività “più economica nel minor tempo” … nella realtà di oggi è un problema , insostenibile di pianificazione: dovrebbe sacrificare i risultati nel breve medio termine che quel modello di business – nonostante le spinte dei consumatori e gli arcinoti problemi –pres non ha , o non vuole recepire ; consumandosi senza accorgersi nel mercato “smart” più scontato. Il costante squilibrio, il consumo ambientale e gli allevamenti intensivi, presentano gli “effetti collaterali “di questa corsa, tutti i giorni… con l’hamburger o le scarpe che arrivano direttamente a casa, senza percepire la precarietà di chi te le consegna ( … o ci consegnerà insetti fritti in salsa barbecue ) per cena, né sapere se arriva con un mezzo ecologico ad esempio. Non in tutte “le stanze dei bottoni” l’hanno recepito fino in fondo, al di fuori dell’emozione di un video sul global warning.
In che modo le agenzie possono dialogare con efficacia con gli utenti rispettando i valori e le aspettative dei brand? Quanto è difficile oggi comunicare con dei target sempre più eterogenei, considerando il notevole aumento delle piattaforme social?
Nella liquidità del web che mescola notizie d’ogni genere con identità e format commerciali ad espressività dell’individuo e del suo gruppo di relazioni, non esiste più – forse non è mai esistita – la distinzione tra il target che acquista in E-shop e la preferenza per lo store tradizionale. Sono modalità di vendita, espressività, approcci di marketing , certamente differenti ma ormai sempre più connesse e confrontabili ( fatte salvo specificità e comportamenti d’acquisto : uno smartphone o una lavatrice si acquista online ma prima… si testa, si tocca, nel punto vendita… con l’amarezza del cash flow dello store … che taglia il personale ” tanto ormai c’è internet che ti spiega cosa fa …”; non com’è fatta): molto spesso incautamente conflittuali tra loro, sull’offerta dello stesso prodotto di una marca – che non raddoppia ne i clienti ( né la natalità!), né la scelta del consumatore , né il budget d’acquisto del retailer per la fashion collection stagionale.
Credere che siano mercati paralleli e distinti ad uso o promozione di qualunque merceologia, che non s’incrociano , contribuisce a generare aspettative rischiose smentite dal customer journey di ampie fasce di pubblico degli ultimi anni già prima di Covid, oltreché del PIL: dagli acquisti d’impulso online sostenuti da strategie di remarketing price “gonfia & sgonfia” che alimentano l’attendismo nella scelta e l’estrema volatilità dei clienti … fino all’esaurimento… nel “gioco a perdere” brand awareness e domanda nel mercato. Si è pensato che il meccanismo espressivo dei Social network – cioè l’affidabilità del “consiglio per l’acquisto” direttamente dal post di un web user – di un nostro pari – influenzasse più e meglio degli “obsoleti” media classici: funzionava nella preistoria ( … 4 /5 anni fa). Oggi, nello scenario abbonante di influencers – spontanei, autorevoli o improbabili, o “ a cottimo”– l’effetto sta ormai scemando : il “like” non è più sufficiente a creare l’opinione, a coinvolgere , determinare scelte sul profilo del gruppo di utenza ( età, interessi, etc ) algoritmico, accomunabile solo virtualmente; comunque filtrato dalla piattaforme online. In sostanza – e più di ieri , del “vecchio” ( e necessario/autorevole) traino di altri media – ogni dialogo diretto passa dal “moderatore d’interessi “: l’intermediario non è scavalcato. Il risultato di un susseguirsi di immagini digitali, pop-up e banner interattivi, dove la genuinità … costruita ad arte… è consuetudine artificiale, aiuta … ad abbassare soglia di attenzione e credibilità, svuotando il ricordo del brand ; imponendo estenuati rilanci di “Special Off(ers) “ omnichannel che si rincorrono, annoiano. Tanto quanto l’accavallarsi di offerte nelle piattaforme “monitor pricing” su qualsiasi merce, tariffa e servizio (assicurazioni , fashion, viaggi, etc.).
Non si finisce mai d’imparare che Creatività e strategia non sono solo cultura “ digital expertise” ; la “scienza predittiva” del web marketing senza “l’arte” della comunicazione umanistica (… sociologica, commerciale, estetica, semantica… ) nelle sensibilità espressive, rischia di produrre sterili data driven guidando … l’Intelligenza Artificiale … alla normalità di uno sconto “eccezionaleee!!”- perenne ed ovunque online e offline – che non aumenta i margini di vendita. E non rende il contenuto del prodotto – o il bisogno – più innovativo e necessario: invecchia la crescita. E lo vedono tutti : fa tracimare anche il server di svendite ( è ora di crescere! )
In che modo si è riuscito a comunicare in un periodo di pandemia? Che difficoltà si sono incontrate sui diversi fronti merceologici? Si può essere originali e creare interesse intorno a iniziative differenti dalla nuova consuetudine?
Se il digital system ( nelle funzionalità comunicative) durante l’emergenza ha cercato di fronteggiare l’emorragia economica – favorendo grande crescita in alcuni settori – ha peraltro inibito alle aziende la presa di coscienza di una certa inerzia, un certo digital mainstream dal pensiero unico innescato da “semplicismi”, un po’ illusionisti, techno-mediatici per la vendita “oggi e a tutti costi” : nel mercato post Covid l’innovazione digitale , senza barriere di spazio e tempo per lavorare da casa , formarsi, informare e scegliere direttamente dal divano, sarà l’intrinseca garanzia di crescita? In ambito formativo professionale il dibattito è aperto; in ambito scolare …“l’esperimento” purtroppo imposto dalla contingenza … pare abbia creato , creerà , forti gap generazionali. Se c’è un bisogno, un desiderio insito, elementare, che più di ieri questo periodo ha naturalmente rimarcato è che la società, la persona, il target … non si soddisfa di una socialità informativa surrogata virtuale che pervade il quotidiano: ama toccare, emozionarsi , percepire , apprendere, scoprire attraverso 5 sensi .
È sintomatico come la fedeltà al negozio artigianale di prossimità – e nonostante la pandemia – in alcuni settori stia riprendendo animo. E quantomeno miope – inadatto, incompiuto – pensare che si possano governare mercati, pilotare modalità espressive , dialogo, opinioni, stile, gusto, esperienza, con un digitale proteso solo verso la competitività economica. Può aiutare promozione ed economia del brand globale , un’ istituzione, un servizio, una piccola attività ma ( personalmente) è solo una leva del marketing : non il fine che ti risolve innovazione e brand identity. Si tratta di comprendere che la crescita di un mercato responsabile “… s’impollina ….” di risultati anche con po’ di lungimiranza e creatività ( … strategica: l’abilità tecnica di comunicare con il software, arriva dopo). Ho collaborato, da prima della pandemia, allo sviluppo di un progetto sinergico tra UNESCO ed una storica maison di profumi al lancio di una gamma di cosmetici a base di miele e derivati: per l’obiettivo – nevralgico all’identità del brand e dei prodotti – sulla conservazione della bellezza, preservando in alcune zone le specie di api seriamente compromesse dall’inquinamento. ( tanto che nel 2019 una università USA ha introdotto sofisticati micro droni ape nelle arnie per uno studio finalizzato a rigenerare l’impollinazione dei campi) .
La penuria dei preziosi insetti minacciati dai pesticidi impoverisce la biodiversità fino a minacciare nel tempo la sopravvivenza dell’ecosistema e dell’uomo. Nonostante e dopo lo stretto Lockdown, i punti vendita selezionati hanno assorbito l’emorragia di vendite, rigenerando il brand di notorietà. Il target ha percepito il vantaggio per se stessa nel contributo al benessere ambientale , aumentando la fiducia verso la marca e il flusso di visite negli stores: spendendo volentieri qualche euro in più per una causa – sotto gli occhi … e il profumo dei fiori – sotto il naso di tutti. È un “piccolo grande” esempio concreto di come si possa unire – e di quanto sia fisiologicamente connessa – vita e interesse economico di un particolare brand system, alla vita e al valore del pianeta.