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Stefania Bongiovanni

Founder e Creative Director EGO NewCom

Le aziende stanno richiedendo un cambiamento del proprio asset comunicativo? Con quali modalità?

Il 2020 è stato uno dei periodi storici più delicati, anche in termini comunicativi, che le nostre generazioni abbiano vissuto. Nell’anno contraddistinto dalla pandemia abbiamo assistito a una frammentazione e dispersione dei codici di comunicazione ritenuti consolidati o in via di sviluppo, quali, a esempio, la sostenibilità.

Riteniamo utile fare un distinguo fra due approcci concettuali che si sono riverberati negli asset comunicativi delle imprese.

Da un lato le grandi marche, che contemplando nella loro Brand equity gli asset valoriali della sostenibilità, hanno reagito favorendo e incentivando l’empatia e l’ascolto anche nei confronti di Millennials e ZGen di quelle tematiche ambientali che affondano le proprie radici in stili di vita più sani e green.

In contrapposizione alle grandi marche, l’emergenza sanitaria e la vertigine causata dall’impreparazione nella gestione della crisi, ha fatto sì che le tematiche sostenibili intraprese dalle piccole e medie aziende, venissero, quantomeno per l’arco temporale pandemico, accantonate a favore di una comunicazione “d’emergenza”; troppo spesso improvvisata e quantomai naif.

I grandi Brand consapevoli che le nuove generazioni, particolarmente sensibili alle tematiche sostenibili, poco si lasciano irretire dalle comunicazioni persuasive che hanno imperato per decenni, recentemente hanno ampliato la propria scala dei valori supportando azioni dirette di responsabilità sociale. Purtroppo questo principio non si applica a tutto il panorama produttivo che percepisce marginalmente l’emergenza green e la interpreta puramente come un trend da seguire.

In questa dualità, mai come oggi, si rileverà strategica la capacità delle agenzie di comunicazione di inserirsi nel contesto e farsi portavoce di queste tematiche, sensibilizzando le aziende, favorendo una pianificazione chiara degli asset comunicativi e tramutando questi valori, oggi percepiti come mode, in veri e propri piani strategici, che restituiranno sicuramente i propri frutti negli anni a venire.

In che modo si è riuscito a comunicare in un periodo di pandemia? Che difficoltà si sono incontrate sui diversi fronti merceologici? Si può essere originali e creare interesse intorno a iniziative differenti dalla nuova consuetudine?

L’arco temporale pandemico purtroppo è un periodo da dimenticare anche sul fronte comunicativo; connotato perlopiù da comunicazioni anacronistiche, improvvisate, incoerenti e talvolta al limite dell’ansiogeno.

Riteniamo questo appiattimento non risieda principalmente nella scarsità di carattere e unicità, bensì ne intravediamo l’origine in tre grandi criticità riscontrate nel 2020.

Indubbiamente i tagli ai comparti del marketing e della comunicazione, con il riutilizzo di campagne esistenti, ha rivelato tutto il timore e la scarsa capacità di gestione dei momenti di crisi da parte delle aziende e di conseguenza, la totale assenza, reattiva e rapida, alla situazione in atto.

La mancanza di pianificazione e adozione dei protocolli di Crisis Management interni alle aziende ha rivelato la scarsa visione futuribile abbiano le aziende italiane e, figlia di questa miopia, l’improvvisazione.

Improvvisazione, che talvolta purtroppo popola il nostro settore e genera la peggior comunicazione auspicabile per le aziende, sovvertendo tutte le best practice da seguire in questi frangenti.

Più che l’originalità, che auspichiamo rientri a breve nei canoni della normalità, riteniamo si debba partire dall’empatia e dai valori. È questo che da anni, a gran voce, chiedono i consumatori. Probabilmente, se saremo bravi, da questo periodo potrà nascere una nuova avanguardia nella comunicazione.

In che modo le agenzie possono dialogare con efficacia con gli utenti rispettando i valori e le aspettative dei brand? Quanto è difficile oggi comunicare con dei target sempre più eterogenei, considerando il notevole aumento delle piattaforme social?

Per rispondere alla prima domanda, innanzitutto è indispensabile individuare i “veri valori del Brand”.

Purtroppo, soprattutto nelle piccole e medie imprese, talvolta questi valori vengono svuotati del significato originale, connotandosi come parole prive di significato o puri claim che difficilmente possono essere trasmessi a tutti gli attori coinvolti.

La comunicazione contemporanea è contraddistinta da un content continuum che, con il moltiplicarsi delle piattaforme social, rischia in ogni touch point della customer journey di compromettere il rapporto con il consumatore, perdendolo.

I social network sono indubbiamente strumenti con grandi potenzialità ma occorrono profilazioni attente e una crescente sensibilità verso la pianificazione strategica dei contenuti, l’attenzione a temi sociali e il coraggio, da parte delle aziende, di diventare dei veri e propri brand activist.

Sempre di più i brand dovranno trovare nelle agenzie dei partner capaci di avere una visione futuribile, fortemente preparati e aggiornati su contenuti e strumenti e capaci di traghettarli verso i nuovi scenari che quotidianamente si presentano a loro.

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